Il festival ha lasciato, nel corso delle sue nove edizioni, un traccia indelebile nelle centinaia di volontari che vi hanno partecipato, dedicando il loro tempo libero a conoscere le grandi questioni dello Stato. Hanno lavorato mossi dalla convinzione per realizzare qualcosa che fosse utile non solo per loro, ma per un pubblico molto più ampio.

Ma forse, inconsapevolmente, sono loro la grande cassa di risonanza che fa arrivare il messaggio della manifestazione ad una categoria di cui poco si parla, ma determinante: i genitori.

Molto spesso sono gli adulti a frequentare il festival dalle prime edizioni e che, seguendo gli incontri, ascoltando le grandi tragedie e le grandi verità che costituiscono la storia moderna, avranno pensato: “Mio figlio dovrebbe saperlo”. La parte sana della città ha rivisto in ciò gli insegnamenti che avrebbe voluto fornire, e nell’opportunità della partecipazione l’esperienza pratica per viverli a pieno.

Ma ci sono anche quelle famiglie estranee al festival, quelle che ne riconoscevano l’importanza, magari, ma che assistevano a qualche incontro e finiva lì. Quelle famiglie in cui i ragazzi hanno scoperto autonomamente il festival e sono diventati volontari. Ed è proprio l’entusiasmo dei volontari il veicolo più importante.

I figli tornano a casa e raccontano con emozione la propria giornata, sono felici. Oppure sono i genitori a recarsi al Chiostro, per venirli a prendere, per sapere se mangeranno a casa, e intanto assistono al magistrato Gian Carlo Caselli che parla di Giovanni Falcone, ad Attilio Bolzoni che tratta il sistema Montante, a Massimo Bray che ribadisce l’importanza della cultura. E allora torneranno il giorno dopo, per la curiosità di ascoltare il procuratore Gratteri sul suo ultimo libro.

Ed ecco la forza del festival Trame, che si propaga nei nuclei familiari. Ed ecco la lotta alla mafia che cresce.

 

Giulia Speranza.