La storia di Stefano Pompeo nel docufilm di Gero Tedesco

Gero Tedesco si siede sul palco in maniera composta, il suo sguardo vaga tra l’intervistatore, Guglielmo Mastroianni, e il pubblico calabrese. I saluti sono brevi, si parla subito di terra: è questo che sembra essere, infatti, il punto focale del film dell’autore.

Gero Tedesco ha 44 anni ed è nato ad Agrigento, nella cui provincia negli anni ‘90 era in corso una guerra tra due schieramenti mafiosi rivali: la Stidda e Cosa Nostra. Fu proprio in questa provincia, a Favara, che venne ucciso per errore il piccolo Stefano Pompeo. Era il 1999. Stefano non aveva ancora compiuto 12 anni. Ed è “la vita che non c’è più” di Stefano a essere la protagonista del documentario che Tedesco ha presentato nella giornata di apertura di Trame: “Quasi dodici. Nessun colpevole”. 

La lotta alla mafia di Tedesco coincide, nella vita e nelle idee, con una lotta alla privazione di libertà. Il regista ha infatti tenuto un corso sulla libertà di stampa a Kampala, nella sede di Human Rights Network for Journalists in Uganda, ed è direttore del giornale indipendente Fuoririga, che si occupa esclusivamente di mafia. Anni fa, con il libro “Addio Mafia”, scritto con Gerlando Cardinale, si è occupato di raccontare boss come Luigi Putrone. Oggi, invece, racconta una vittima, una delle vite innocenti portate a una tragica fine dalla mafia. «Il documentario non si concentra eccessivamente sulle dinamiche dell’ambiente malavitoso – come dice anche l’autore nella breve introduzione – lo scopo è anche quello di ribadire che Stefano non era una foto, ma un bambino che si muoveva». Le immagini più potenti e più vive sono sicuramente quelle che rappresentano la breve vita di Stefano nei momenti di gioco e spensieratezza e quelle girate ai funerali del 1999. Sguardi che non si nascondono, che non hanno paura di essere rappresentati, perché non ammettono né si curano di influenze esterne che possano modificare il loro stato d’animo. Il regista del piccolo Stefano ci mostra i diari e le passioni, tra cui quella che ha finito per ucciderlo: la passione per le macchine. La sfumatura che forse più colpisce di questa storia è proprio che la sua morte, per una serie di casualità, viene semplicemente da un desiderio: quello di voler salire su un fuoristrada. Una situazione banale, un sogno infantile, il cui problema, come ribadiscono le due personalità sedute sul palco, non è quello, da parte della vittima, di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma che ci siano dei mafiosi “nel posto sbagliato al momento sbagliato a fare la cosa sbagliata”. Ma, come premesso, è il territorio ad essere fondamentale: lo si vede dalle numerose riprese di Favara presenti nel documentario a inframezzare le diverse interviste, dai discorsi sulle migrazioni da sud a nord, a cui molti siciliani e calabresi sono costretti pur volendo rimanere. Ѐ la stessa impotenza del non poter stare dove si vorrebbe, perché non ci sono le condizioni o perché semplicemente non si può.

Il docufilm di Gero Tedesco, con i suoi ultimi risvolti positivi che hanno portato alla riapertura del caso archiviato da anni, è un esempio virtuoso di quanto possa contare una presa di coscienza dell’opinione pubblica e una sensibilizzazione tanto umana nel ridare giustizia a chi ne è stato privato dall’indifferenza e dalla marginalità territoriale.

Intervista Gero Tedesco

Costanza Fusco