“Figli dei boss. Vite in cerca di verità e riscatto” (San Paolo Edizioni) è il libro che il giornalista Dario Cirrincione dedica ai boss di diritto, a quei giovani che dovranno seguire la strada dei padri oppure fuggirne. L’autore ne ha discusso col magistrato Gaetano Paci, che si occupa della criminalità mafiosa nella zona di Palermo, e con la giornalista Angela Iantosca, che si occupa da tempo di questi temi.
Attraverso ricostruzioni storiche, incontri e interviste, il libro tratta delle strade alternative possibili, come il progetto “Liberi di scegliere”, o quelle intraprese dai figli di Totò Riina e Bernardo Provenzano. «Non il solito libro di mafia – chiarisce  Cirrincione – ma una raccolta di storie».
«L’Italia è il paese dei “figli di”» – continua l’autore. I figli dei giornalisti, dei medici, dei commercianti  seguono le orme dei genitori. «Possono però decidere di non farlo. Ma cosa succede quando a fare questa scelta sono i figli dei mafiosi?».
Il progetto “liberi di scegliere”, concede loro di conoscere una realtà diversa da quella in cui sono cresciuti, la “bellezza” di cui parlava Giuseppe Impastato. Cirrincione definisce il programma  un “goal a favore del bene”.
Coloro che subiscono la famiglia senza responsabilità costruiscono, per Paci, una categoria sociale nuova. Non sono mafiosi o collaboratori di giustizia; non scelgono il male ma ne sono vittime. Devono perciò essere tutelati, conquistare quell’identità della quale è il loro cognome a privarli.
Per questo risultato, appare necessario l’allontanamento dalla famiglia. È proprio questa azione preventiva, quella che ha fatto più discutere, additata come “pulizia etnica” o “allontanamento dall’amore della mamma”. Per Paci, il ruolo della mamma è fondamentale ma è indifendibile se i precetti che insegna sono sbagliati. «Se la famiglia è un elemento di conformazione criminale, la mamma è un pericolo». Cirrincione ha raccontato la sua esperienza durata due anni, alla base del libro. Sono diversi i ragazzi liberi che ha intervistato, alcuni dei quali hanno accettato che i propri nomi figurassero, altri “non hanno voluto essere ricordati per sempre come i figli di”. Ognuno di loro desiderava raccontare “la loro verità”. Ha ricordato commosso il dialogo con la nipote di Rita Atria, diciassettenne collaboratrice di giustizia che si suicidò dopo la morte di Borsellino. La ragazza, che per la prima volta si è rivolta ad un giornalista, ha ricordato la zia, di cui onora sempre la memoria, e ha condiviso affetti e dolorosi dettagli familiari. La lapide di Rita è stata distrutta dalla madre come gesto di ripudio. Paci ha dimostrato una grande fiducia nel protocollo, sperando che arrivi a diventare non un progetto ma una legge. 

il VIDEO

intervista ad Angela Iantosca