Lo stampatore Luciano Corvaglia controlla lo sviluppo della foto di Falcone e Borsellino

È il 23 maggio del 1992, l’autostrada è la A29, quella che oggi, è chiusa per un tratto e che impedisce il normale transito dei veicoli da e verso Palermo.

Chili di tritolo fanno esplodere le auto su cui viaggiano Francesca Morvillo e Giovanni Falcone, Vito Schifani, Rocco di Cillo e Antonio Montinaro.

In quel giorno di ventitré anni fa, come in una guerra civile ci si ritrova tra macerie di asfalto e lamiere. Esplodono i corpi, assieme alle cose. Tutt’intorno ora è il silenzio assordante di cinque vite saltate in aria.

Cronisti, inviati speciali, immagini, parole, suoni, entrano nelle case, rimangono per sempre nella memoria di ognuno di noi, che dall’altra parte dello schermo guardiamo e inermi, ma solo  per poco,  riceviamo la notizia.

Totò Riina e i suoi compari non sanno di aver innescato una bomba ben più pericolosa, quella delle coscienze dei giovani, degli uomini e delle donne, dei palermitani onesti. Sì, dei palermitani onesti, degli Italiani che di Giovanni, Francesca, Vito, Rocco, Antonio e poi ancora di Paolo, Emanuela, Agostino, Vincenzo, Walter, Claudio e di tutte le vittime della ferocia mafiosa ne avevano stimato la vita e ora ne piangevano la morte.

Lenzuoli bianchi su Palermo, lenzuoli bianchi all’indomani della strage di Capaci, perché un segno bisognava darlo, perché bisognava scendere in strada e dimostrare che non era finita lì, che non ci si arrendeva alle prepotenze, che lo Stato si doveva assumere l’impegno di rispondere per il massacro di quei figli e servitori, che aveva il dovere di difendere e l’obbligo di condannare e che i cittadini si volevano riappropriare del loro ruolo civico.

Oggi a Palermo c’è una Piazza della Memoria con incisi i nomi sulle scale, un Aeroporto  internazionale che da Punta Raisi ha cambiato nome ed  è diventato l’aeroporto Falcone e Borsellino. Chi giunge in questo “non luogo” è accolto dal  sorriso dei due magistrati siciliani “esplosi” sul tritolo della mafia nel 1992, a distanza di cinquantasette giorni l’uno dall’altro, in quella foto si parlano e sorridono. E’ lo scatto del giovane reporter de il giornale di Sicilia Tony Gentile che il 27 marzo del 1992 era a palazzo Trinacria di Palermo per seguire la candidatura alla Camera dei deputati di Giuseppe Ayala. C’erano anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in quel palazzo storico nel quartiere di nascita di Paolo, la Kalsa. L’ Italia il 5 e il 6 aprile andrà alle urne, ci saranno le politiche, il Palazzo di giustizia di Milano è il fulcro dell’inchiesta Mani pulite.

Tony Gentile scatta. «Magari la usiamo un altro giorno», gli dicono. Ma all’indomani delle stragi, che hanno ridotto in mille pezzi uomini e cose, quel sorriso, quel dialogo confidenziale è diventato l’icona per eccellenza della lotta alle mafie, a tutte le mafie, quelle che si combattono con le Leggi e che istituiscono reati che prevedono condanne.

Tony Gentile, con una mostra fotografica sarà a TRAME festival a Lamezia  durante l’edizione del 2015, dal 17 al 21 giugno prossimi, qui presenterà il libro “La guerra – una storia siciliana” (ed. postcart).  

Le lenzuola con gli elaborati delle scuole lametine saranno il prodotto del percorso “TRAME a scuola, il mio impegno contro le mafie”.  Segni di una collettiva memoria e di una comprensione sociale nuova scaturita dalle stragi del ’92.

In ogni città, o quasi, c’è un albero Falcone, una scuola, una via, intitolata a  Giovanni falcone e Paolo Borsellino, agli uomini e donne saltati in aria sul tritolo, come in guerra. Quei nomi oggi, titolari di luoghi, di germogli, di passi, sono il frastuono dei giovani che da quel giorno credono che “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

Maria Pia Tucci