«Solo dopo averlo visto con i miei occhi mi sono convinta che Binu, il latitante di Corleone, l’avevamo preso veramente.»
Il viaggio da Palermo a Montagna dei Cavalli, la contrada dove si nascondeva, l’avevo fatto tutto a ripetere: Michè ma siamo sicuri che è lui? Michè ma siamo proprio certi? Cosí fino all’incrocio fra la strada provinciale e la trazzera che serpeggiava fra un campo e l’altro, per arrivare alla masseria.
Lí, a vedere l’esultanza del ragazzo mandato da Renato, il capo della Catturandi, per indicarci il percorso, ho pensato che forse era meglio restarmene zitta. Cento chili d’uomo correvano verso di noi con in mano un bastone, sventolato quasi come una bandiera piú che per segnare il passo. Salite da qui, venite, siamo da questa parte.
Pagina tratta da “Nostro Onore. Una donna magistrato contro la mafia”
Autore: Marzia Sabella e Serena Uccello
Editore: Einaudi
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Marzia Sabella studiava per diventare notaio, senza però “immaginare che avrebbero sventrato autostrade e quartieri, senza prevedere – racconta – che il suo treno sarebbe stato colpito dallo stesso esplosivo per deragliare su un altro binario”. Non era un tempo qualunque.
Era il 1993, quando, dopo le stragi, lo Stato reagiva alla mafia. Ed era impossibile sottrarsi alla chiamata: magistrato, dunque. Alla procura di Palermo. Cosi, i primi processi: gli ‘scecchi morti’, le indagini di routine, quindi la pedofilia. Poi Cosa nostra: dall’arresto di Bernardo Provenzano alle indagini per la ricerca di Matteo Messina Denaro, l’ultimo capo latitante.
E, nel frattempo, il cambiamento del sentire comune verso la magistratura e la trasformazione del suo stesso ufficio, fino a non riconoscerlo più come il proprio posto. Con una narrazione vibrante, ma priva di enfasi e che sa cedere all’ironia, “Nostro Onore” ci conduce nella realtà della mafia siciliana e, al contempo, nel quotidiano di chi lotta contro di essa dal “palazzaccio” di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Ma, soprattutto, ci restituisce un ritratto antieroico dei magistrati, anche quando vivono eventi straordinari e imparano a ripararsi dalla seduzione degli “abbagli da telecamera sempre accesa”. Perché, l’onore, quello vero, è dato dalla “sacralità del Codice e di chi, di quel Codice, difende le ragioni”.