“Uno, due, cinque, dieci. Persi il conto dei colpi, ma non delle parole che mi rivolgevano, identiche a quelle che solo qualche giorno prima mi erano state dette al telefono: «Devi farti i fatti tuoi, hai capito?» Il tutto durò una trentina di secondi. Interminabili.” Tratto da “Un morto ogni tanto. La mia battaglia contro la mafia invisibile” di Paolo Borrometi, che ne ha parlato a Trame.9 con Gaetano Savatteri.
Quella che poteva sembrare la fine, in realtà, si rivela l’inizio di una vera e propria lotta per Paolo Borrometi, con lo scopo di liberarsi da una vita controllata dalle scorte, a causa delle sempre più frequenti aggressioni e minacce di morte. «Io non vado al mare da 5 anni, questa sarà la sesta estate in cui non andrò al mare!» dice, durante la presentazione del libro .

La cosa che colpisce il pubblico è sicuramente il gran coraggio con cui parla l’autore, che ne conferisce il merito ai genitori. Borrometi dice, infatti, che sono proprio questi ultimi ad avergli trasmesso gli insegnamenti che lo hanno portato a considerare la “coscienza” come unico punto di riferimento. Infatti il padre, assessore alla Sanità, si era schierato contro le nuove concessioni della sanità privata, le quali prevedevano che i due terzi della sanità divenissero privati e non più pubblici. Mettendo così a rischio la sua vita e quella del figlio minacciato di rapimento. «Se ho scelto di impegnarmi lo devo fare per noi, per tuo figlio e per la nostra terra» citazione del padre di Borrometi, rimasta impressa nella sua mente e che lo porta da quel momento in poi a sognare di poter essere utile alla sua terra in qualche modo .
L’autore parla, anche, di Giovanni Spampinato considerato come punto di riferimento. Quest’ultimo già dagli anni ’70 scrive delle trame tra estremismo nero e criminalità organizzata, ma la cosa interessante è come molti, dopo il suo omicidio, lo hanno accusato di essersela cercata. Ma com’è possibile che un giornalista si cerca la morte? Borrometi afferma: «noi giornalisti non siamo le notizie». Lui stesso, svariate volte, venne accusato di essersela cercata e di aver rovinato l’immagine della meravigliosa Sicilia, quando denunciò gli intrecci tra politica e affari sporchi; come se non fosse la mafia ad inquinare la reputazione dei territori ma i giornalisti che ne scrivono. Infine un altro aspetto che l’autore vuole sottolineare è che il libro “Un morto ogni tanto” non si limita a raccontare in superficie i fatti, ma fa nomi e cognomi delle persone coinvolte. «Ognuno di noi ha una storia, ognuno di noi deve essere valutato per quelle cose che scrive e per l’impegno che ci mette e non per le minacce che subisce» – conclude Borrometi.

Il VIDEO

Intervista Paolo Borrometi

Sofia Stopponi