Un lavoro che mette insieme l’approccio del cronista allo studio analitico del ricercatore, frutto di inchieste, reportage e interviste anche a personaggi direttamente collegati ai clan. E’ il libro di Federico Varese “Vita di mafia. Amore, morte e denaro nel cuore del crimine” (Einaudi) presentato nell’ultima serata di Trame.8
Sollecitato dalle domande della giornalista Tiziana Bagnato, Varese ha condiviso con il pubblico genesi e metodo di un libro “che nasce da una duplice esigenza: capire come funzionano le mafie nate in diversi contesti sociali e geografici e individuare gli aspetti comuni”.
Dal Sud Italia alla Russia, dove Varese ha condotto inchieste subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, dalla Birmania al Giappone, lo studioso indaga quegli elementi di vita quotidiana che accomunano le mafie. Fino ad occuparsi di un tema apparentemente fuori luogo, parlando di crimine organizzato: l’amore.
“L’amore non è ammesso nelle organizzazioni mafiose – spiega Varese – perché è un sentimento irrazionale che scardina la compattezza dell’organizzazione: se l’amore diventa più forte dell’organizzazione, questo diventa un pericolo per l’organizzazione mafiosa”. In quest’ottica si spiega, almeno in parte, uno dei tratti comuni a tutte le grandi mafie: l’esclusione formale delle donne dalle organizzazioni mafiose. Più degli uomini infatti le donne, nella maschilista logica mafiosa, potrebbero far prevalere i sentimenti rispetto alle regole ferree dei clan.
Ma sono tanti altri i “punti in comune” tra mafie di Paesi e realtà sociali e culturali molto diverse tra loro: il carattere rituale parareligioso con cui il nuovo affiliato entra a far parte dell’organizzazione come “l’egocentrismo di tutti i mafiosi che arrivano a finanziare produzioni cinematografiche per mettere in mostra la loro ferocia e lanciare messaggi chiari a chi potrebbe mettere in discussione il loro potere”.
Ma – conclude Varese – “cogliere le tante similitudini tra organizzazioni differenti, è ciò che serve per sconfiggerle. Non basta solo un’azione di repressione giudiziaria. Serve un’educazione alla legalità e anzitutto un’educazione all’amore”. Sì, l’amore, questo grande “sconosciuto” alle mafie.